Lo Zen del "Brillare in Silenzio".
Il monastero zen giapponese chiamato Antaiji è un monastero speciale perché da qui è partito un contributo importante allo sviluppo della spiritualità umana moderna, è stato sicuramente un posto unico, senza uguali nel mondo.
Fondato nel 1923 da Oka Sōtan fu un luogo di apprendimento e studio dello Shōbōgenzō una raccolta di libri del riformatore dello zen giapponese Dōgen.
Qui si insegnava a vivere la quotidianità secondo la modalità zen, in modo puro e semplice senza tutti quegli orpelli e rituali tipici delle altre scuole zen che distraggono e che fanno tanto folklore. Questo tipo di buddismo zen conosciuto come Soto Shu, è andato molto avanti nella ricerca spirituale verso l'essenzialità.
Oka Sōtan, faceva parte della linea di trasmissione del cosiddetto mokushō zen, ossia lo zen del "brillare in silenzio" che aveva protetto e tramandato la pratica dello zazen da Dōgen ai nostri giorni.
Durante la seconda guerra mondiale Antaiji rimase disabitato fino al 1949, quando il grande monaco zen Kōdō Sawaki che aveva studiato e praticato proprio con Oka Sōtan, decise di riaprirlo e ripristinarlo con l'aiuto del suo allievo Kōshō Uchiyama.
Uchiyama aveva alcune caratteristiche uniche nella realtà dei monaci buddisti giapponesi, era laureato in filosofia occidentale all'università di Wasada di Tokyo e aveva insegnato alla scuola cattolica di Miaszaki. Nel 1940 viene ordinato monaco zen da Kōdō Sawaki e alla sua morte nel 1965 ne diventa il successore fino al 1975.
Il contatto con la cultura occidentale e in particolare con il cristianesimo svilupparono in lui un profondo interesse e una convinzione che dall'incontro tra buddismo e cristianesimo sarebbe potuta nascere la base della spiritualità del futuro.
Iniziò a praticare lo zen vivificato dalle parole del vangelo e trasmise al suo successore, Kohō Watanabe l'importanza di lavorare in modo zen sulla parola viva di Gesù.
" La via dello zen è la ricerca della verità universale. Nella bibbia c'è verità: quindi non esiste camino dello zen senza la conoscenza della bibbia." Uchiyama roshi.
Ognuno di noi possiede dentro di sé un richiamo originale alla verità che ci guida nella nostra ricerca e ci fa aderire o meno a certi comportamenti. Quello che conta sono le opere diceva San Paolo
Sia i buddisti che noi cristiani traiamo un grande vantaggio nel integrare nella nostra pratica quelle parti mancanti della propria esperienza spirituale salvate grazie alla esperienza di un altro popolo. È come se ogni religione avesse perso lungo il cammino della sua storia parte di sé e oggi la ritrovasse valorizzata grazie alla cura e il cuore di un altro popolo che l'ha saputo meglio custodire. Questa capacità di riconoscere qualcosa che ci è appartenuto fa si che non si tratta di un tentativo di sincretismo , ma di un recupero del messaggio originale andatosi nel tempo trasformando a volte deformando, è un lavoro simile a quello del restauratore che pulisce la tele e ritrova i vecchi disegni originali. Se gli occhi degli uomini fossero sufficiente puliti potrebbero scorgere l'identità del messaggio universale.
Quando nel 1975 Uchiyama si ritiro, il giovane Kohō Watanabe divenuto priore, visto l'incredibile sviluppo di Kioto, decise di vendere il terreno del monastero in modo da poter acquistare con il ricavato un'intera valle, sperduta tra le montagne, così da ripristinare le condizioni ideali di silenzio e contatto con la natura e così oggi Antaiji si trova a nord della prefettura di Hyōgo, sulle montagne nei pressi della cittadina di Hamasaka.
Una delle caratteristiche del monastero di Antaiji è quella di essere una scuola di formazione della vita e non un luogo definitivo in cui vivere, come avviene in tanti altri monasteri zen. Qui la permanenza non può superare i dieci anni, tempo considerato adeguato per fare "brillare il proprio spirito", oltre non sarebbe produttivo perché lo scopo è portare la luce nel mondo come dei veri discepoli di Cristo. Al termine di questo periodo breve o lungo che sia, ciascuno dovrà tornare nel mondo portando dentro di sè il nuovo spirito vivificato, che ha aiutato a far crescere grazie all'aiuto di questo particolare incubatore che è Antaiji.
La differenza più appariscente tra il buddismo Mahāyāna o "veicolo universale" e le scuole antiche riguarda l'allargamento a tutti, non più solo ai monaci cenobiti, della possibilità di realizzare con la propria vita l'insegnamento del Buddha.
La "persona della via" indipendentemente dal tipo di lavoro che svolge, ha come motivazione fondante, mantenere il proprio spirito in armonia con l'insegnamento del Buddha, ovvero la realizzazione del risveglio o conversione del cuore per noi cristiani.
Questa scelta, che certamente non esclude il monachesimo tradizionale, è una nuova forma di religiosità: essere monaci nel mondo, un monachesimo di carattere interiore, dove la comunità non è più quella del convento, ma è il mondo intero. Si tratta di una rivoluzione, non è più necessario l'isolamento per conoscere Dio, ma anzi il cammino, la via, avviene nel mondo per permettere la nostra manifestazione. I monaci zen sono liberi di sposarsi e di vivere la propria vita nel mondo. Degli ultimi 5 abati di Antaiji, quattro sono stati sposati, due con figli e due no, e ciascuno lo ha fatto edificando una vita originale, e quindi in modo diverso dagli altri.
"Non confinati da una morale codificata, vivere il grande prodursi del presente senza affidarsi a regole prestabilite; questa possiamo chiamarla audacia di vivere." Kohō Watanabe
Il focus dell'insegnamento buddista non è tanto stabilire cosa è giusto fare, ma come facciamo a scegliere cosa fare!
È un atto di discernimento, dove viene premiata la spontaneità alla logica, il sentire al sapere. Non vi sono regole, non possiamo contare né su una norma del tipo "tavole della legge" né su un comportamento standard da imitare.
Diceva Epitteto: "non è tanto ciò che ti accade, ma come reagisci a ciò che ti accade quello che conta."
L'assenza di un modello prestabilito significa che non c'e alcuno standard, ognuno è un caso a se stante, libero nel disegnarsi e organizzarsi la propria vita come meglio crede purché sia contemporaneamente autentica e universale, ovvero pienamente inserita nella corretta tradizione spirituale.
Affinché questo sia possibile occorre mettere sotto osservazione ogni parte della propria vita sia come forma sia come contenuto affinché tutto risulti coerente. Innanzitutto la frugalità, il silenzio, lo spazio per lo zazen, devono essere condivisi in famiglia per poter funzionare anche se gli altri familiari non praticano. Per quanto riguarda invece la vita economica, il non attaccamento e l'etica portano inevitabilmente ad uno stile di vita sobrio e semplice. Inoltre non tutti i lavori hanno un coefficiente etico sufficiente, a volte occorre rinunciare a qualche offerta interessante come retribuzione, pur di mantenere il cuore puro. Un altro elemento importante sono le relazioni sociali, in primo luogo le amicizie. Non è più possibile avere amici mondani frequentare feste e divertimenti. Chi insegue sentimenti mondani segue modelli e stili di vita totalmente diversi e incompatibili. Sant'Ignazio parla di assaggiare, e sentire la Verità. Quando la si comincia a percepire sulla propria carne allora si cambia in modo naturale senza forzature, si abbandona lo stile mondano e conformista e si cerca uno stile sincero anche nelle amicizie.
La verità non basta intuirla con la mente, bisogna conoscerla attraverso il cuore. L'odorato era un tempo ritenuto la funzione del discernimento e pertanto non solo la sede del giudizio ma anche quella della distribuzione dell'energia vitale.
Tramite il naso respiriamo ed il respiro è il primo contatto con l'esterno quindi da un lato otteniamo una prima discriminazione, nello stesso tempo aspirando energia vitale cerchiamo la riunificazione tra noi e ciò che è fuori di noi. Inspirando ci si congiunge alla radice celeste, espirando ci si congiunge alla radice terrestre. Fintantoché uno rimane nello studio non penetra il significato dei testi e dunque rimane nel mondo dei concetti, gli sfugge la realtà. Non c'è vera consapevolezza di sé senza consapevolezza del mondo e viceversa, perché mondo interno e mondo esterno sono connessi e si compenetrano, siamo al contempo individui e parte di un unico organismo. La separazione dall'unità è il problema dell'uomo fin da quando nasce e si separa dalla mamma, abbiamo paura a restare soli. Essere visti, essere riconosciuti, essere accolti, essere voluti, vuol dire essere amati !
Se il cuore è chiuso la nostra capacità di vedere gli altri è offuscata da una sensazione di indifferenza/ostilità.
Dōgen disse a riguardo : "apprendere la natura di Buddha è conoscere se stesso. Conoscere se stesso è dimenticare se stesso. Dimenticare se stesso è essere riconosciuto da tutti gli altri esseri."
"Una persona insensata considera se stessa come un'altra persona, un uomo saggio considera le altre persone come se stesso!"
La liberazione dalla sofferenza si realizza portando una testimonianza di luce, nel proprio ambiente e contagiando il gruppo per risonanza.
Oggi non credo che Antaiji conservi quella capacità di un tempo di essere incubatore spirituale ma i suoi frutti sparsi per il mondo hanno portato a moltiplicare realtà di luce in tutto il mondo.
Il lignaggio dello zen del "brillare in silenzio" è arrivato in Italia grazie alla comunità "la stella del mattino" fondata proprio da Kohō Watanabe quando venne a vivere in Italia negli anni novanta con due suoi monaci zen Jisō Forzani, e Mauricio Y. Marassi e il Padre saveriano Luciano Mazzocchi.
Anch'io che ho fatto parte di questa comunità mi sento appartenere alla grande tradizione dello Zen del "brillare in silenzio" e continuo nella tradizione di diffondere lo zen nella quotidianità in modo laico e italiano. Siete tutti invitati a cogliere il nettare di questo insegnamento che riconosce Cristo e il suo messaggio di verità.